mercoledì 3 febbraio 2010

Ciclo-vacanza a Rab

Isola si Rab, Croazia.

Vacanze a Gonar dal 22 al 29 di agosto 2009.

Ingredinte principale la bicicletta!!!

Lascio perdere tutte le cose che potete trovare a piene mani in rete, come località, superficie, abitanti ecc. e mi concentro su quelle meno note ma interessanti:

- Per prima cosa andare in città a Rab e all’ufficio del turismo farsi dare una splendida cartina “biking & trekking”…l’ufficio è aperto fino alle 10 di sera, senza pausa pranzo! L’impiegata che ho incontrato io è stata molto gentile e mi ha consegnato la carta e qualche buon consiglio sui percorsi più interessanti.

- isola ben dotata di interessanti percorsi da MTB, direi ben segnalati, ma se andate sulle piste facili, da percorso segnato e segnalato, vi perdete metà del divertimento.

- Poiché l’isola è piena di recinzioni che delimitano campi, proprietà e difendono le coltivazioni dalle visite delle pecore (mai molto numerose), ogni volta che si attraversa un cancello si deve avere l’accortezza di richiuderlo. Durante i giri in bici, non ho trovato cani da pastore.

- La cartina descrive tutte le piste ciclabili disponibili sull’isola. Oltre alle ciclabili sono segnate le strade asfaltate, i percorsi pedonali ed una serie di sentieri di varia natura.

- Le indicazioni della cartina sono abbastanza attendibili, anche se in qualche occasione i percorsi ciclabili richiedono una buona tecnica (o forse ho sbagliato strada e son finito su un percorso pedonale!)

- Le strade sterrate sono in ottime condizioni, con fondo compatto, sassoso e pulito. Solo in qualche occasione ho rimpianto di non avere una full. Obbligatorio, oltre al solito corredo per la riparazione delle forature, anche la dotazione di un copertone di riserva. Nella città di Rab ci sono diversi noleggi di biciclette ma non ho visto officine “ciclistiche” anche se penso che qualcuno che ripari le bici ci sia per forza. Ad ogni modo partire attrezzati, compresi pulisci catena e lubrificanti, che il sale e la sabbia sono micidiali.

- I sentieri nelle zone sassose sono spesso costellati di pietre aguzze che mettono a dura prova copertoni e braccia.

- La segnaletica (non chiarissima a dirsela tutta) è costituita da cartellini rossi posti su paletti verdi recanti il numero del percorso e la simbologia: omino a piedi oppure bicicletta. I percorsi sono indicati da un cerchietto bianco con contorno rosso.

- Io avevo una casa a Gonar, che insieme a Kampor e Lopar sembra un dei cartoni animati giapponesi!!

- Ad eccezione di alcuni tratti, la costa (dove indicato) è tutta percorribile su stradine, sentieri, banchine cementate. Nessun problema a passare “attraverso” le proprietà affacciate sul mare, senza pestar bagnanti. Qualche proprietario storce il naso, ma basta scendere dalla bici ed attraversare con un minimo di cautela ed i problemi svaniscono.

- Lungo i percorsi sono assenti le fontane (almeno io non ne ho trovate), ma la cortesia delle persone alle quali abbiamo chiesto di riempire le borracce è stata squisita! Birrette nei bar a scelta, dal costo contenuto e dall’ottimo sapore!!

- Io sono sempre uscito la mattina, prima delle 8, sosta al mercato per un “krapfen” e due mele, poi pedalate e foto fino verso le due, giusto in tempo per tornare a casa a mangiare e fare un bel bagno ristoratore.

- Non farsi ingannare dall’altimetria dell’isola. In una giornata di tutto riposo si collezionano diverse centinaia di metri fra salite e discese. Si parte sempre da 0 quota mare, si sale su una collinetta, poi si scende ad una baia, si risale su un’altra collinetta, si scende e così via…



Qui comincia la descrizione delle giornate passate a girovagare per l'isola...



- Domenica 23

disfatte le valigie, puntata a Rab su strada principale su asfalto, foto, cartina e ritorno su strade secondarie, lungomare pedonale e qualche scaletta da scorciatoia. Giretto solitario, senza pretese, conoscitivo. Città di Rab molto bella ed interessante dal punto di vista fotografico.

- Lunedi 24

salita al Kamenjack, 409 m slm, il punto più alto dell’isola. Andiamo in due: io con il vecchio cancello che si guadagna i gradi di “mulo di ferro” e mio figlio Federico, impaziente di provare la nuova bici in terra straniera. Il Kamenjak è la sommità della dorsale est dell’isola, totalmente brulla verso est, spazzata da venti gelidi e violenti durante l’inverno. Sulla cima si gode un panorama spettacolare sul Velebit e verso la città di Rab. Salita su asfalto, cemento e ultimo tratto sterrato. La punta è sede di una installazione credo televisiva e telefonica. Verso est una foresta di ometti decora la sommità della cresta. Immancabili i muretti a secco che recintano le proprietà e che testimoniano la caparbietà e la tecnica degli isolani nel difendere i terreni dalla furia del vento. Poiché il mondo è piccolo, l’unico ciclista incontrato durante la salita è un mio concittadino che ci “riconosce” grazie alla maglia della 3 Farioli indossata da mio figlio. La carta dice che si sale e si scende per lo stesso percorso, ma noi optiamo per una discesa modello “la so ioooo” che pur facendoci soffrire per i continui sali-scendi dalla bici per frequenti tratti non pedalabili, ci consente di passare accanto ai resti di una torretta di avvistamento, esposta verso Rab. Si tratta dei resti di una costruzione in muratura a secco, forse utilizzata per difendersi dai saraceni. Foto splendide e poi di nuovo discesa verso il mare. Tratti esposti pochi, tratti da percorrere con cautela, molti. Divertente. Giro a Rab (di nuovo) con foto dal campanile più alto e poi rientro a casa dal lungomare, perdendosi via nella spiaggia a sud di Kampor a far foto ad un simpatico pennuto dal becco lungo che pescava sotto la sabbia.

- Martedi 25

giro della penisola ad ovest, che va da Rt Kalifront e termina a Rt Frkanj. Giro in solitaria. Passaggio di buon mattino alla spiaggia di Kampor, deserta, talmente deserta che l’unico bar aperto mi nega un caffè perché apre alle 10… parto allegro infilandomi subito in un bel sentiero pedonale che mi costringere a spingere e portare a spalla la bici. Terminato il sentiero sono di fronte ad un cancello metallico che delimita una zona della penisola riservata all’Università di Zagabria (facoltà di Silvicoltura) e che deve essere valicato salendo una ripida scaletta di legno, sempre bici a spalla. Ridisceso sul lato opposto percorro la strada sterrata in splendida solitudine, senza mai vedere il mare che sta alla mia sinistra a causa del bosco fitto ed impenetrabile persino agli sguardi. Si sente ogni tanto il fruscio di qualche animale che lo attraversa. (potrebbero essere cervi o mufloni che sono segnalati come presenti sulla penisola) Lecci fittissimi e bassi uniti a tassi rigogliosi formano un muro verde ed ombroso. Giungo a Kalifront sul mare, a nord della penisola. Panorama non particolarmente interessante. Un gruppetto di bikers francesi arriva qualche minuto dopo di me. Scambiamo due chiacchiere. Faremo lo stesso giro, ma in direzioni opposte. Riparto di nuovo sulla sterrata, ma questa volta l’ambiente cambia notevolmente. La vegetazione è molto meno fitta e numerosi sentieri pedonali, non sempre indicati sulla cartina consentono di arrivare in riva al mare. Baiette incantevoli, acqua trasparente ed un sole bellissimo rendono gli sbocchi sul mare un divertimento continuo. Non ne lascio uno, mi infilo in tutti i passaggi possibili, spesso lasciando la bici per proseguire ed arrivare al mare. A metà mattinata arrivo ad una costruzione che è quella della Facoltà di Silvicoltura dell’Università di Zagabria. Uno dei custodi mi sconsiglia di arrivare al mare con la bici perché il terreno è scosceso…ma non lo ascolto e me ne vado giù per un bel sentiero, a tratti sconnesso che mi porta fino alla baia Sv. Mara, con una bella spiaggia sassosa ed un piccolo moletto di attracco delle barche. Qualche foto nel deserto più completo e risalgo. Di nuovo dentro e fuori dalla strada alla costa per arrivare lungo la parte terminale di uno dei due percorsi “geologici” fino al mare nella baia del “Gozinka” (altro personaggio, cugino di Mazinga). Breve sosta e birretta ristoratrice. Riprendo la strada sterrata e poi asfaltata che passa nel bosco di lecci di Dundo. Ci sono esemplari di lecci che hanno centinaia di anni. Ombra impagabile in una giornata moto calda e fortunatamente poco afosa. Il ritorno si svolge su un sentiero pedonale quindi ciclabile solo in parte. Incontro un paio di bikers tedeschi che mi confermano l’impercorribilità dell’ultima parte di sentiero. Vero solo in parte, ma loro stavano salendo ed invece io scendevo!! Ripasso alla baia di Kampor in tarda mattinata. La spisggia adesso è affollata di gente con decine di ombrelloni e tendine colorate. Bel colpo d’occhio, ma io che sono un po’ rustico e solitario fuggo con robuste pedalate.

- Mercoledi 26

termino il giro della penisola iniziato il giorno prima, stavolta in compagnia di mia figlia Aurelia che sostituisce validamente suo fratello rimasto a dormire. Puntiamo verso Rab su strada asfaltata e dopo qualche kilometro ci infiliamo nel solito bosco di lecci su strada a tratti sterrata, in direzione di Suha Punta, posto decisamente troppo turistico che non merita di essere visitato. Da Suha Punta ci dirigiamo verso sud percorrendo un bel sentiero che costeggia il mare, solo a tratti stretto e impegnativo. All’altezza di U. Kandarola un signore seduto in uno spiazzo lungo il sentiero riscuote il pedaggio per i biglietti per chi vuole andare nella zona “FKK” riservata ai nudisti. Passiamo oltre per arrivare finalmente al faro di Rt. Frkanj. Si lascia la bici un trentina di metri prima del mare, per non rischiare di squarciare i copertoni sui sassi aguzzi sporgenti dal terreno. Molto bello il colpo d’occhio sulla città di Rab a est. Foto obbligatorie e poi via di nuovo sulla sterrata che in parte ricalca il “sentiero geologico” del Kalifront. Sulla via di casa ci fermiamo a cercare il mausoleo del Campo di Concentramento di Kampor. Si tratta di un campo fascista operante dal 27 luglio del 42 fino all’11 settembre del 1943 in cui furono rinchiusi 15000 prigionieri, fra sloveni, croati ed ebrei, morti in seguito alle terribili condizioni di vita. Fa male pensare che anche in questo posto meraviglioso una così grande massa di persone abbia potuto soffrire così tanto, fino a morire di fame e di stenti. Oltre ad una infinita fila di lapidi e di croci, una lunghissima lastra metallica porta incisi i nomi di quelli che passarono per quel campo. Alcune foto dell’epoca mostrano le condizioni del campo e la sua estensione che comprendeva quasi tutta la piana di Kampor da nord a sud. Terminata la visita al campo riprendiamo la strada per tornare a casa.

- Giovedì 27

giro della penisola di Lopar. Solingo parto di buon’ora alla volte della penisola a Nord-est. Bella anche in pianta, sembra una specie di mano dotata di dita. Al termine della salita che da Superska Draga conduce a Lopar trovo un cartello in croato che dice che ad 1 km c’è qualcosa. Cosa? Bho? È scritto in croato!! Mi avvio incuriosito, confortato dalla carta che indica la presenza di un piccolo bacino, forse uno specchio d’acqua. La strada asfaltata sale bene, ma ad un tratto vengo superato da un furgone della spazzatura ed allora mi sorge un grande dubbio…che viene confermato poche centinaia di metri dopo. Una discarica. La strada le scorre di fianco diventando sterrata ed io la percorro alla ricerca di qualche bella foto, ma dopo poco incrocio una panda di un paio di inglesi che mi spiegano che la strada termina poco più avanti e non ci sono sentieri che vanno fino al mare. Me ne torno mesto sui miei passi, e scendo fino al porticciolo che accoglie i traghetti verso l’isola di Krk. Seguendo la strada sterrata arrivo fino ad una zona dove sono “ammessi” i nudisti ma non le macchine fotografiche, chiaramente indicato nei cartelli spersi in zona!! Seguendo percorsi sterrati fra i cespugli di tasso, arrivo fino al mare. Qui la costa è totalmente diversa da quella dei giorni scorsi: non più rocciosa e calcarea ma composta da banchi di arenaria, inclinati, variamente levigati dal vento e dal mare, piena di fossili di conchiglie in bella mostra. Foto a tutta manetta e poi comincia il divertimento. Il sentiero, più o meno segnato dai soliti bolli bianco-rossi, corre sulla costa, salendo e scendendo verso il mare, in mezzo a zone di terra rossa, sabbia, macchie di vegetazione bassa, verde, tenace. Pedalo con tranquillità e con leggera fatica, sempre attento a trovare il sentiero, non sempre evidente, ogni tanto inventandomi un passaggio un po’ “a vista”. Qualche tratto si percorre in mezzo alla vegetazione “al buio” ma poi si sbocca di nuovo in riva al mare, magari un po’ alti sulla costa. Percorro tutta la costa dalla prima baia, Ciganka, fino all’ultima, Sahara. Lungo le spiagge di sabbia cammino scrupolosamente sulla battigia dove il terreno offre un minimo di appoggio, fra gli sguardi dei bagnanti, probabilmente non abituati a vedere una bicicletta in zona, anche se qualche segno di copertone artigliato io l’ho visto. Al termine della spiaggia di Sahara concludo il mio giro e risalgo lungo un sentiero “solo pedonale” talmente sconnesso che non sono riuscito a percorrere in sella neanche un metro. Ci sarebbe da fare qualche altra visitina alle baie ancora verso est, ma sono in ritardo e la fatica stamattina è stata veramente notevole, accentuata dal sole torrido, la mancanza quasi totale di ombra e dalla consistenza “incerta” del terreno. Evito quindi il campeggio di San Marino per tornare spedito verso Supetarska Draga dove mi aspettano moglie figli ed amici.

- Venerdì 28

ultimo giro. Direzione Sv Petar, chiesetta in mezzo alla campagna dalla quale si diparte una bella “ciclabile” che risale in quota. Quindi oggi niente mare. Lasciata la chiesetta e seguite le indicazioni si affronta una strada che di ciclabile ha solo il nome: fondo in cemento e pendenza da infarto (solo in alcuni tratti). Per fortuna che l’ombra aiuta un poco. Prendo rapidamente quota ed arrivo il mezzo ad uno strano bosco di lecci: il terreno sotto le piante è quasi completamente sassoso, senza terra né erba. Sembra che le piante siano piantate solo sui sassi. La strada sterrata esce in uno spiazzo senza piante…una specie di altopiano, in parte coltivato e scarsamente popolato di pecore. Un lunghissimo muro a secco recinta lo spiazzo. Verso sud ne perdo la vista. Torno indietro lungo la sterrata e proseguo seguendo le indicazioni della carta. Passo accanto ad una area da “paintball” che abbandono velocemente. Dopo poco arrivo nella zona centrale dell’altopiano, nei pressi di una sorta di stagno, indicato anche sulla carta. Mi aspetta una garzetta, che appena si accorge della mia presenza si alza e si sposta. Gli insetti nella zona richiamano un gran numero di rondini e di ranocchie. Un lato dello stagno è occupato da una splendida macchia di ninfee, coi fiori bianchi e gialli. Numerosi percorsi delle pecore segnano il terreno insieme ai passaggi di formiche che hanno scavato piccoli “canyon”. Mai vista tanto terreno pianeggiante con così tanta erba a queste quote e soprattutto in questa parte dell’isola, spesso battuta da venti feroci. Una specie di gioiello incastonato fra le montagne, contornato da fitti boschi di lecci. Proseguo sul sentiero indicato sulla carta e passo attraverso una zona di terra rossa per poi arrivare di nuovo sulla parte di percorso brullo, popolato da rade piante. Faccio una foto ad un leccio, completamente sbilenco sulla sterrata, con un tronco di 80-90 cm di diametro, un colosso che nel corso dei secoli ha adattato la sua chioma alla direzione del vento. Le ultime foto le faccio ad una piccola costruzione in pietra, diroccata, senza tetto, che domina la collina, un punto di osservazione privilegiato verso ovest. Da lì la sterrata comincia a scendere di nuovo verso la costa, verso il mare.



Classificherei la vacanza come “bella e fortunata”: bella perché l’isola merita la permanenza, fortunata perché avevamo una casa molto bella a 15 metri dal mare ed una settimana di sole mi ha consentito di girare per bene anche se non sono riuscito ad arrivare in tutti i posti che avrei voluto. Per farlo avrei dovuto abbandonare completamente moglie e figli e non mi sembrava giusto (inoltre avrei rischiato il divorzio!!)

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